Mariposa

Maravilla de la naturaleza.

Un bote en el Rio

Desafio al agua.

Un bejuco en la foresta

Creación natural.

Puente en el Rio Nieva

Entre dos riberas.

Puente en Milán

Arquitectura moderna.

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martes, 8 de octubre de 2013

Memoria passata del personaggio

Avverto l’urgenza di un cambiamento nel teatro e, più specificamente, nel campo della regia teatrale ed è per questo che spero che questo saggio possa essere di aiuto alle generazioni dei nuovi giovani registi. Saranno solo loro a poter cambiare il teatro di domani, visto che quello contemporaneo sembra quasi immobile, privo di una qualsiasi evoluzione nei metodi di lavoro, forse perché ormai adagiatosi sui risultati del primo metodo Stanislavskij, così diffusamente sperimentato. Eppure quello stesso sistema era stato rinnegato da Stanislavskij stesso e con il suo uso della reviviscenza, della memoria affettiva e dell’immaginazione ha danneggiato intere generazioni di attori. Sono pochi i professionisti del mestiere che si fermano a riflettere sulla situazione attuale, pochi sembrano desiderare un metodo nuovo e ciò, immagino, per paura dell’innovazione e, non ultimo, per mancanza di tempo. Sotto molti punti di vista è certamente più comodo servirsi di un metodo già esistente, quel sistema Stanislavskij vecchio di cent’anni, appunto. Grazie a questo immobilismo chiunque ormai sembra potersi cimentare in teatro, tutti sembrano voler recitare sul palcoscenico o davanti alla telecamera. Purtroppo questo ha portato ad avere sale ormai invase spesso solo dalla noia e spettacoli in cartellone molte volte al di sotto della mediocrità. Noi teatranti siamo considerati i «barboni» della cultura, perché siamo in tanti e generalmente senza denaro. Alla stessa forza con cui portiamo avanti faticosamente la nostra passione, dovremmo attingere per trovare il coraggio di dire «basta» a questo stato delle cose. Oggi il teatro manca di vere guide e di veri Maestri ed è per questa ragione che considero mio dovere far conoscere un metodo innovativo per il teatro e, in primis, per i registi. Il metodo, che ho definito «memoria passata del personaggio», è frutto di vent’anni di ricerca e di sperimentazione pratica fatte qui in Italia, poi testate e consolidate anche all’estero. Il metodo può diventare un punto di partenza per i registi che lavorano con gli attori alla costruzione dei personaggi. Il mestiere di regista è relativamente nuovo, ha appena poco più di settant’anni. La regia teatrale, infatti, nasce in Italia negli anni Trenta e rimane a lungo un settore poco esplorato. Per questa ragione i libri sull’argomento sono pochi e le scuole inesistenti. Non esiste in nessuna parte nel mondo una scuola unicamente dedicata alla regia. Tutta la formazione teatrale è destinata all’attore e al suo mestiere, vecchio quanto il teatro greco antico (più di duemila anni). Partendo da questa riflessione vent’anni fa ho iniziato a concentrare la mia attenzione sulla regia e sui registi. Mi sono lasciata guidare da una forza creativa che mi diceva cosa scrivere, come lavorare con gli attori e come collaborare con altri registi. Ricordo che vent’anni fa, quando parlavo di riforma, d’innovazione, la gente di teatro mi guardava con un sorriso di sufficienza. Eppure mai nessuno è ancora riuscito a fermarmi.
Introduzione al metodo


Non si assomigliano per niente le emozioni reali con quelle rese sul palco con l’aiuto della reviviscenza, proprio perché sono soltanto l’imitazione di emozioni vissute nel passato. Il metodo dell’immaginazione e della reviviscenza consiste, infatti, nel ricordarsi un’emozione vissuta in prima persona nel passato e nel riuscire poi a riviverla nel presente e sulla scena. Questo modo di fare teatro può essere molto dannoso per la psiche degli attori e, a lungo andare, la stessa emozione riportata al personaggio non può rigenerarsi a lungo e, dunque, si trasforma in una forma di meccanicità. Darò un esempio concreto, frutto della mia esperienza diretta come interprete del personaggio di Medea: per una scena di pianto di questo personaggio così forte utilizzavo il ricordo della morte di mio padre per provocarmi le lacrime. La scena mi riuscì molto bene per alcune serate ma in seguito non ero più in grado di piangere in quella precisa scena. Nel 2008, in occasione di un incontro di presentazione con una famosa attrice, le chiesi a cosa avesse pensato per interpretare una scena di pianto nel film La vita è bella di Roberto Benigni. Mi rispose di aver rievocato la morte di sua madre. L’attore-personaggio, dunque, che deve commuoversi in corrispondenza di una certa battuta, lo potrà fare per un po’ di giorni, utilizzando la reviviscenza, ma dopo un mese di spettacolo non riuscirà più a far uscire nemmeno una lacrima e tutto si trasformerà in forzatura e poi in meccanicità.
Stanislavskij stesso lo aveva capito, grazie alla sua esperienza personale sulle scene, ma purtroppo, troppo tardi, quando ormai il suo famoso metodo era già consolidato in Russia e negli Stati Uniti. Dico di più, quando Stanislavskij sperimentò sulla propria pelle i danni che reviviscenza e immaginazione potevano causare (ebbe cinque infarti!), decise di ritirarsi dalle scene e di non recitare mai più. La scoperta lo spinse anche a cercare un’alternativa e a concentrarsi poi sulle «azioni fisiche». Il metodo di Stanislavskij trova, al contrario, perfetto utilizzo nel cinema, anzi, è proprio grazie a questo modello recitativo sulla memoria affettiva, che il cinema si è evoluto e ha conosciuto la sua grande fortuna a partire dagli anni ’50. Davanti alla cinepresa, infatti, l’attore può usare, per i quindici o trenta minuti necessari a girare la scena, la reviviscenza evocando e richiamando un sentimento o uno stato d’animo. Egli può piangere, può urlare, può fare una scena di pazzia, può ridere a crepapelle poi, non appena la macchina da presa ha immortalato il momento, ha subito il tempo e il modo di riprendersi dallo sforzo fatto. In teatro ciò è impossibile perché l’attore rimane in scena, davanti al pubblico, per due o tre ore di seguito, e mancano i tempi necessari al recupero dopo le scene più forti.
Un metodo innovativo e rivoluzionario per il teatro contemporaneo

Il mio lavoro di regista è stato sempre focalizzato sull’attore: ho sempre pensato a come poter aiutare e rinforzare l’attore nel lungo processo di studio, lavoro e ricerca necessario alla costruzione del personaggio che gli è stato assegnato. In particolar modo ero interessata a come evitare che l’attore fosse costretto a identificarsi con la vita del suo personaggio e a mischiare il suo privato con quello portato in scena. Sono più di diciassette anni che mi dedico alla ricerca-pratica di nuovi modi di lavoro che aiutino gli attori. Dopo che il metodo è stato provato e messo già in pratica, ho capito che la costruzione della memoria passata del personaggio avrebbe potuto aiutare più i registi che gli attori, in quanto questi ultimi lavorano sempre sotto la guida di un regista. Con questo nuovo procedimento di lavoro viene eliminata la necessità di ricorrere alla reviviscenza e parzialmente all’immaginazione, i due elementi fondamentali, alla base del «sistema Stanislavskij». Il mio metodo fa, invece, una chiara scissione, distingue nettamente tra la vita personale dell’attore e quella del personaggio. Con questa metodologia la vita privata dell’attore non viene mai toccata, né messa in discussione, né evocata o raccontata. All’attore non è mai richiesto di rispondere del suo privato, non gli viene mai imposto di mettersi nei panni del personaggio, né di doversi ricordare un momento della sua esistenza che somigli a una scena dello spettacolo. Con il metodo che propongo, la sfera personale dell’attore viene lasciata fuori dalla hall del teatro e l’attore se la riprende all’uscita dalle prove, quando torna a casa sua, dalla sua vera famiglia. Questo per proteggere l’attore e la sua vita intima, proprio perché sua. Tutto quello che si crea, si costruisce, ai fini dello spettacolo succede esclusivamente all’interno del teatro e nella sala prove.

L'esperienza umana e professionale in Italia
Sono arrivata in Italia l’1 dicembre del 1992, tre anni dopo la caduta del regime comunista nel mio paese, la Romania. Prima del 1989 mi era stato impossibile viaggiare fuori dai confini romeni: si viveva ancora come in una gabbia e all’estero non si poteva andare facilmente. In Italia arrivai per cercare Jerzy Grotowski che in quel periodo si trovava a Pontedera, in Toscana. Nel suo workcenter però non accettavano giovani trentenni come me (troppo vecchi!) e allora bussai alle porte dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica di Roma. E fu lì che mi aprirono una porticina. Da allora in poi la mia vita in Italia è sempre stata incentrata sul teatro: i miei maestri sono stati italiani, in Italia ho fatto ricerca, mi sono inventata un posto di lavoro a Milano, ecc. Il mio primo impatto con questo paese fu davvero bello: lo sognavo da tempo, come molti altri d’altronde, dato che l’Italia è il miraggio di tutti gli artisti dell’Est Europa. Appena arrivata a Roma ed entrata come libera studentessa straniera alla Silvio D’Amico, ho dovuto affrontare la faticosa realtà quotidiana degli extracomunitari e poi quella degli artisti, degli studenti, e poi ancora quella dei teatranti. Non mi dilungherò in questa sede su quel periodo della mia esperienza italiana ma, credetemi, è stata molto dura e ancora adesso, dopo tutti questi anni, mi ritrovo a meravigliarmi di me stessa: ma come ho fatto? Quale miracolo mi ha mantenuto così ottimista e positiva nell’andare sempre avanti sulla mia Via? Come ho potuto in tutti questi anni vivere solamente di teatro? Beh…la mia risposta a queste domande è che i miracoli nascono nel mistero e lì rimangono destinati a rimanere, avvolti nel mistero. La certezza, che ritengo mi abbia fatto superare tutto, è stata la fiducia in me stessa e nelle mie potenzialità nel lavoro teatrale; poi è stata la gente che ho incontrato in teatro a darmi ulteriore speranza, e non ultimi gli amici, tesori che ho rinsaldato in Italia.
Fin dall’inizio il mio unico progetto di vita era il teatro, non ho mai pensato ad altro, ragion per cui ho avuto non pochi dispiaceri nella vita privata. In Questura, a Roma come a Milano, venivo sempre incoraggiata a sposare un italiano, così sarebbero cessati tutti i miei problemi di documenti e permesso di soggiorno; io rispondevo immancabilmente con un sorriso, dicendo che ero già sposata al teatro. Le questure sono un argomento triste della mia esperienza italiana, perché è difficile scordare anni passati in fila a piangere, umiliata e impotente. A furia di sentirmi ripetere che mi dovevo sposare un italiano, così mi sarei sistemata, non mi sono mai sposata: la mia è stata una scelta di vita onesta, tra teatro e famiglia. Non avrei mai potuto fare le cose a metà e tutta la mia energia, a quell’epoca, era concentrata nel mio lavoro di regista e nella ricerca. Mi sono sradicata dal mio paese volontariamente e ho messo nuove radici in Italia. Amo questo paese, pur non avendo mai dimenticato le mie origini romene che amo profondamente. E sono proprio queste radici che, intrecciandosi armoniosamente con quelle italiane, hanno dato forma a una grande radice madre che mi sta rivelando la donna che sono oggi.


Maria Stefanache
(n. 2, febbraio 2013, anno III)
Nota bio-bibliografica
Nata nel 1962 a Iasi, Romania. Diplomata in regia teatrale. Vive e lavora in Italia dal 1992. Ha studiato regia con Andrea Camilleri all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico di Roma, dal 1992-94. Al Piccolo Teatro di Milano è stata assistente di regia alle ultime opere teatrali messe in scena da Giorgio Strehler, dal 1995 al 1997. Fonda e gestisce a Milano, dal 1995 al 2003, la Scuola Europea di Teatro e Regia. Nel gennaio 2000 è selezionata dall’Unione dei Teatri d’Europa, tra i giovani registi europei per il «corso pratico di aggiornamento sulla regia» con il regista Lev Dodin al Maly Drama Teatr di San Pietroburgo. Nel luglio 2000 è selezionata alla Biennale di Teatro di Venezia per l’Atelier di regia condotto da Eimuntas Nekrosius, regista lituano. Dal 1993 fino ad oggi mette in scena spettacoli su testi di: Shakespeare, Cechov, Esopo, Euripide, Sofocle, Aristofane, Molière, Seneca e Goldoni. A ottobre 2003 fa nascere a Milano il Centro Produzioni Teatrali e Documentari Video. Dal 2004 inizia il progetto di diffusione in Europa del suo nuovo metodo teatrale: «Memoria passata del personaggio», che aiuta i registi nel lavoro con gli attori nella costruzione del personaggio in scena. Attualmente il metodo è utilizzato in Teatro, nel Mondo Aziendale e Universitario. A novembre 2011 è uscito il libro: Memoria passata del personaggio, un metodo innovativo per il Teatro, Aziende e Università, Edizioni Uroboros, Milano 2011.
A completare il libro del metodo, è uscito anche il libro La Parola alla regia, Edizioni Uroboros, Milano 2011, dove si racconta il percorso evolutivo, lavorativo e creativo della regista fino ad arrivare al suo metodo.
Dal 2006 tiene dei corsi per managers nelle aziende milanesi e multinazionale all’estero, tra le quali: BEA Spa (Milano), ING (filiale romena), Global Maersk (Costanza, Romania), Raiffeisen Bank , Sortilemn Spa (Austria).
Dal 2011 all’Università Carlo Cattaneo di Varese (LIUC) tiene corsi di «Gestire la comunicazione», per studenti delle facoltà di Economia aziendale Ingegneria gestionale e Giurisprudenza. Nel suo studio-spazio di Milano opera come Coach, Personal trainer per imprenditori, avvocati, venditori, PR, registi, conferenzieri e periodicamente tiene atelier tecniche teatrali di comunicazione verbale e non verbale.
Attualmente è impegnata come docente collaboratore all’Università LIUC, dove tiene il corso per studenti «Gestire la comunicazione».
Nel campo documentaristico quest'anno prepara la realizzazione del film documentario La Nostra Milano, milanesi e i nuovi milanesi in collaborazione con la scuola civica di cinema, tv e nuovi media di Milano.
 

martes, 1 de octubre de 2013

Un viaggio indimenticabile nella mia terra Albania


Un paese così vicino, così lontano, da scoprire, e un incontro straordinario.

Ho trascorso le vacanze di agosto in Albania, la mia terra di provenienza, e ho realizzato un sogno.
Il mio sogno da ragazzo, da insegnante, da immigrato, ora da cittadino italiano e da milanese, ed anche da rappresentante dell’Associazione culturale di amicizia italo-albanese “Albania e Futuro”, era di incontrare Ismail Kadaré, il più grande scrittore albanese, e magari di averlo come ospite in un evento a Milano. 
Una volta durante un incontro con il nostro Dario Fo (un premio Nobel della letteratura), avevamo parlato di questo mio desiderio e lui con molta semplicità mi aveva detto “Magari ci riuscirai e io sarei felice di stare accanto a lui “. E poi in un altro incontro dell’anno scorso con l’allora Assessore della Cultura del Comune di Milano, l’arch. Stefano Boeri mi diceva “Se riuscite a portare Kadaré a Milano, non farete un regalo solo alla vostra comunità, ma senza dubbio un grande regalo  anche ai milanesi”.
Tornato dalle vacanze, come tutti, ho voglia di raccontare le nostre ferie (magari prossimamente vi parlerò delle splendide spiagge bianche, dei magnifici monasteri, dei musei e della gastronomia locale).
Ma questa volta io voglio raccontare a tutti - colleghi, amici e simpatizzanti - l’incontro con il grande scrittore albanese Ismail Kadaré, presso la sua villa estiva in Albania (Mali Robit), con sua moglie Helena Kadaré e i suoi familiari. Era 8 l’agosto e insieme con la mia moglie avevamo appuntamento con il proprietario della casa editrice “Onufri”, il sig. Bujar Hudhri, che ha l’esclusiva per le sue pubblicazioni in Albania. Voglio ringraziarlo pubblicamente perché tutto questo è successo grazie a lui. Un incontro familiare. Kadaré era curioso di sapere come andavano le cose con la nostra comunità, il rapporto di convivenza con gli italiani e con L’Italia. La nostra conversazione è diventata più familiare anche per la presenza della figlia, del genero e dei nipotini. Abbiamo gustato insieme una buonissima anguria fresca e dopo sono stato molto lieto di bere un caffè turco fatto apposta dalla signora Helena. Abbiamo fatto delle foto e avuto in regalo dei libri da parte di Kadaré (uno per me in albanese) e “I tamburi della pioggia” in italiano per mia moglie. Una bella sorpresa è stata anche il libro di Helena Kadaré (“Tempo Insufficiente”) con una dedica per noi due e l’auspicio di salutarci prossimamente a Milano. Un pomeriggio straordinario immortalato dalla foto insieme che vi allego.
Tanti amici albanesi quando ho raccontato questo incontro non ci credevano e anche un nuovo Ministro della Repubblica d’Albania si è complimentato e mi ha scritto “Incontrare Kadaré è un evento“.
Invece ho notato che tanti colleghi, ai quali io raccontavo con tanto orgoglio e tanto entusiasmo, non conoscono questo scrittore. Ci tengo quindi, magari tramite questo articolo, di portare a conoscenza e di farvi scoprire questo grande vincitore di tanti premi nel mondo, da sempre candidato al premio Nobel per la letteratura.
Due anni fa circa il mio amico e giornalista del Corriere della Sera, Raffaele Oriani, mi chiedeva cosa leggere per capire meglio l’argomento del Kanun, il più importante codice consuetudinario albanese, creatosi nel corso dei secoli, che ha ancora valore  in alcune zone montane dell’Albania del nord.
Non ho esitato un attimo e gli ho consigliato ”Aprile Spezzato“, che lui non solo ha apprezzato tantissimo, ma subito dopo nell’inserto “Io Donna” del Corriere della Sera scriveva, a proposito dell’uscita del libro “La figlia di Agamennone”, Longanesi, 2007: “Quando si dice un intellettuale europeo. E’ albanese, scrive in francese, per raccontare Tirana ricorre ai miti greci dell’inglese Robert Graves. Basterebbe questo libretto per capire perché Ismail Kadaré è da anni candidato al premio Nobel. La storia è cupa, lui la illumina con stile asciutto e partecipe. Ma chi è Kadarè ? poeta, saggista e romanziere, è il più grande scrittore albanese contemporaneo e uno dei più noti scrittori europei a livello mondiale. E’ nato nel 1936 ad Argirocastro, nel sud dell’Albania. Perfeziona all’Istituto Maksim Gor’kij di Mosca, vivaio di scrittori e critici, gli studi iniziati alla Facoltà di Lettere di Tirana. Nel 1963 dà alle stampe il primo romanzo “Il generale dell’armata morta”, grottesco viaggio nella follia della guerra, grazie al quale si afferma sulla scena letteraria, anche oltre i confini albanesi, in particolar modo in Francia che diventa la sua casa. La sua fama si consolida negli anni settanta e ottanta con una serie di romanzi (tra cui “I tamburi della Pioggia”, “La città di pietra”, “Il palazzo dei Sogni”), straordinarie narrazioni epiche, allegorie della storia tragica dell’identità albanese, sempre dilaniata tra l’Occidente e l’Oriente. Il regime di Tirana esercita sulle sue opere una censura sempre più severa. Consapevole che “la dittatura è incompatibile con la letteratura“ nel 1990 Kadaré chiede asilo politico in Francia, e segue l’evoluzione e le vicissitudini del suo Paese forte di una completa libertà di espressione. Durante la guerra in Kosovo pubblica “Tre canti funebri per il Kosovo”, libro in cui risale alle origini del perenne conflitto tra i popoli balcanici. Ha vinto tantissimi premi nazionali e internazionali. Nel 1993 vince il Premio Mediterraneo per stranieri con la “Pyramide”. Dal 1996 è membro associato a vita dell’Académie des sciences morales e politiques, dove ha preso il posto che era stato di Karl Popper. Nel 2005 è stato il primo vincitore del “ Man Booker International Prize “in qualità di scrittore universale nella tradizione dei narratori che arrivano da Omero”, mentre nel 2009 vince il premio “Principe delle Asturie per la letteratura“, premiato dal Principe Felipe in Spagna . Nello stesso anno gli è stata conferita la Laurea Honoris Causa in Scienze della Comunicazione Sociale e Istituzionale dall’Università di Palermo, voluto fortemente dagli arbereshe (albanesi che vivono da secoli in Sicilia e in altre regioni d’Italia), di Piana degli Albanesi. E’ stato più volte candidato alla selezione per il Premio Nobel ed è membro d’onore all’Accademia Francese. Trascorre la vita fra Tirana e Parigi e in questa primavera è stato voluto fortemente da tutti gli schieramenti politici per diventare Presidente della Repubblica d’Albania. Ma lui con molta semplicità ha ringraziato tutti e ha risposto “Non sono capace di fare il politico “. Durante il mese di settembre è stato ricevuto dalle più alte cariche dello stato in Kosovo e ha ricevuto il primo premio “Ali Podrimja“, un grande scrittore e amico di Kadaré, che è scomparso un anno fa.
Concludo con l’incontro affettuoso che ho avuto durante la presentazione di “Il Bacio del Pane”, l’11 settembre scorso nello spazio Eventi di Mondadori Duomo a Milano, con Carmine Abate, vincitore del premio Campiello, nato a Carfizzi, un paese arberesh della Calabria. Ho avuto il piacere di scambiare qualche parola con lui e gli ho parlato del mio incontro con Ismail, e del nostro desiderio di averlo a Milano e lui mi ha risposto “Magari sarebbe una cosa stupenda: noi davanti a lui siamo dei provinciali …“. Così scriveva di recente anche il giornalista Richard Eder, in un articolo di New York Times “siamo provinciali di fronte a Ismail Kadaré“.
Cari amici, simpatizzanti, colleghi e colleghe non mi rimane altro che augurarvi buona lettura e ricordarvi che le opere di Ismail Kadaré sono pubblicate in Italia da Longanesi.  

Preparato da
Astrit Cela

Milano 27. 09. 2013

jueves, 14 de abril de 2011

Vite transnazionali?

Il volume presenta i risultati di un progetto di ricerca promosso dalla Fondazione Ismu che ha perseguito un duplice obiettivo. In primo luogo, offrire una panoramica delle condizioni di vita e, per quanto possibile, della storia e delle aspettative dei cittadini peruviani presenti nell'area milanese. In secondo luogo, verificare la presenza e la diffusione, nell'esperienza di queste persone, di dinamiche a carattere transnazionale.
Centrale nell'analisi condotta è dunque il concetto di transnazionalismo, che si riferisce a un coinvolgimento simultaneo degli immigrati nella società di origine e in quella di accoglienza; società di origine con cui si continua a interagire sistematicamente anche dopo l'avvio percorso migratorio, senza per questo vivere da estranei la propria esperienza nel Paese di destinazione. Nello svolgimento della ricerca, una particolare attenzione è stata allora dedicata agli esponenti di spicco della comunità peruviana presente a Milano, coloro cioè che hanno portato a termine con successo il percorso di integrazione nella società italiana: successo testimoniato dal buon andamento della propria attività professionale nonché dal prestigio goduto all'interno della comunità peruviana e da eventuali posizioni di leadership in essa acquisite. La scelta di intervistare proprio questi soggetti è stata dettata dalla convinzione, supportata dalla letteratura disponibile, che l'esperienza delle persone maggiormente integrate e ormai libere dagli affanni legati a una precaria condizione economica e occupazionale sia un osservatorio privilegiato per ricercare la presenza di eventuali dinamiche e condotte di tipo transnazionali oltre ciò, ripercorrere l'esperienza dei migranti di successo aiuta a individuare alcuni dei percorsi che possono condurre a una piena e soddisfacente integrazione all'interno della società italiana.
Marco Caselli è professore associato di Metodologia delle scienze sociali presso la Facoltà di Scienze politiche dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, sede di Milano. Tra le sue pubblicazioni più recenti ricordiamo Indagare col questionario. Introduzione alla ricerca sociale di tipo standard (2005) e Le associazioni di migranti in provincia di Milano (a cura di, 2006).
Vite transnazionali?

Nuovi Milanesi

Autore/i: ISMU, RIAL e Consolato Generale del Perù a Milan
Peruviane e peruviani a Milano è un vero e proprio vademecum su una delle comunità straniere più numerose che popolano il capoluogo lombardo. Quanti sono, ma soprattutto chi sono i peruviani a Milano?
In questo affascinante viaggio abbiamo scoperto un micromondo fatto di lavoratori, imprenditori e artisti affermati. Abbiamo ricostruito la rete delle associazioni e degli enti peruviani presenti in città, utile-non solo per gli immigrati ma anche per gli italiani che vogliono avvicinarsi alla cultura di questo popolo millenario.
La storia del Perù, che riportiamo brevemente in queste pagine, affonda infatti le proprie radici nella civiltà inca per poi mescolarsi con quella europea. Non tutti lo sanno ma l'immigrazione italiana in Perù ha lasciato una traccia importante. Peruviani e peruviane a Milano è anche una guida al tempo libero per chi vuole un assaggio di Perù senza spostarsi dalla città.
Abbiamo infatti riportato il calendario con .gli appuntamenti culturali e religiosi più importanti. Senza la pretesa di essere esaustivi per l'estrema vivacità delle realtà considerate, speriamo di essere riusciti a fornire uno strumento per meglio conoscere le peruviane e i peruviani presenti a Milano, in grado di favorire una loro migliore integrazione, fornendo inoltre delle piste per una eventuale ulteriore esplorazione.
Nuovi Milanesi